Formiche.net: Il vero significato dello shock francese contro il modello degli enarchi parigini. L’opinione di Tivelli

Nei troppi articoli sulla questione del voto francese mi sembra che manchino aspetti fondamentali che riguardano il caso francese attuale, tanto più se comparato al caso italiano. Per essere plastici, si può evidenziare che l’Italia, nell’ultimo decennio, ha subito due possibili shock nascenti dal voto o possibili effetti pericolosi sulle istituzioni della democrazia.

Il primo shock, avviatosi nel 2013, è quello del voto ai Cinque Stelle, che in quel momento conseguirono un quarto dei seggi in parlamento. Ma soprattutto, la diffusione della cultura dei Cinque Stelle (per modo di dire), significava diffusione del valore e della pratica dell’uno vale uno, sostanzialmente cioè dell’ignoranza al potere.

Forse, però, il voto pentastellato, come noto giunto a oltre il 30% e alla maggioranza relativa nel 2018, ha finito per attutire, in qualche modo, i rischi di qualche forma di rivolta sociale. Specie, ma non solo, al mezzogiorno. Certo, ne abbiamo visto gli effetti in quella che è stata forse la peggior legislatura della storia repubblicana (almeno fino al governo Draghi), ma non si sono registrati episodi significativi di rivolta sociale.

Il secondo shock poteva essere con le ultime elezioni di 19 mesi fa, con un marcato spostamento a destra della bilancia del voto e del potere. Va ascritto a merito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni aver trasformato anche spinte rischiosamente un po’ estremiste, non poco sovraniste (quelle da cui lei proveniva), in una sorta di conservatorismo all’italiana. E così, anche questo secondo possibile shock si è trasformato nella diffusione, in seno alla destra, di una sana e dignitosa cultura di governo.

Questa capacità di assorbimento degli shock è esattamente ciò che manca alla Francia. La Francia prima della rivolta delle Banlieue, e poi quella della sostanziale rivolta contro Parigi, contro le istituzioni centrali, in atto in queste settimane. In quella Francia in cui le istituzioni sono sempre state sostanzialmente forti, in cui l’alta amministrazione dispone di competenze e di una rete più solida dell’Italia, è come se fossero venuti meno, di colpo, questi vantaggi competitivi.

Il modello italiano (per dirla in breve: meno Stato più società), rispetto al modello francese, basato invece su più Stato meno società, si è dimostrato più capace non solo di reagire agli shock, ma anche di costituzionalizzarli. Mentre scrivo, non sono in grado di capire se e come questa sorta di rivolta della Francia profonda, di quella della media e piccola dimensione, di quella dei paesi contro Parigi, contro l’accentramento del potere e soprattutto contro le élite (quelle élite che sembravano essere da tempo il punto di forza del sistema francese), quale sarà lo sbocco di ciò. Una sorta di rivolta contro il “tradimento dei chierici” (Julien Benda), laddove però i chierici non sono solo gli intellettuali come nel libro di Benda, ma i troppi chierici che costituiscono la vera rete del potere in Francia e soprattutto a Parigi.

Quegli enarchi, usciti dall’Ena o nel sistema delle Grandes Écoles, che indifferentemente man mano nel tempo possono assumere posizioni da direttore generale, capo di Gabinetto, Consigliere di Stato, presidente di grande banca o azienda, ministro o come, non solo nel caso di Macron, Presidente della Repubblica o del Consiglio.

Macron, soprattutto da questo, è forse penalizzato. Essendo il simbolo della continuità di queste troppo autoreferenziali élite da troppo tempo al potere.

Il problema è, nel caso potesse addirittura vincere la destra del Rassemblement National, di quale classe dirigente dispone la destra francese. L’abilità di Meloni, che veniva e viene dalla destra e per qualche aspetto dalla destra profonda, è stata quella non solo di costituzionalizzare la destra, non solo in qualità di premier di praticare politiche più conservatrici che di tipo sovranista, ma quella di avere mantenuto elementi di continuità, coinvolgendo anche parti delle élite, dei tecnici, della classe dirigente pubblica che era stata in parte in sella ai tempi dei governi della sinistra o tecnici.

Cosa potrà, invece, succedere in Francia? La rivolta contro il tradimento dei chierici certamente si registrerà, in qualche modo, anche al secondo turno. Forse, il candidato premier Bardella è il simbolo di una classe dirigente che non dispone certo del know-how, delle dotazioni da tecnocrati di cui dispone il sistema degli enarchi francesi.

Forse, più che ad un turno e ad un passaggio elettorale, siamo di fronte ad una sorta di rivoluzione, in questo caso più “rivoluzione silenziosa”, che matura nel largo territorio francese, non violenta come avvenuto nelle Banlieue intorno a Parigi. Certo, in ogni caso la Francia versa in un guado difficile. E non sarà facile attraversare questo guado senza bagnarsi e contaminarsi le vesti.

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